Anche se le donazioni per la cultura e per il patrimonio storico e artistico sono in generale una delle ultime priorità dei donatori, esse tuttavia rappresentano una risorsa economica straordinaria in un momento di crisi e in una fase, per ora irreversibile, di mancanza di fondi e finanziamenti.
Negli ultimi anni l’agenda delle politiche culturali ha posto maggiore attenzione agli incentivi fiscali alle donazioni. Abbassare il prezzo del dono mediante incentivi fiscali segue una logica economica che assume una relazione negativa tra il costo di donare e l’offerta di donazioni da parte degli individui. Tuttavia, anche gli economisti hanno iniziato negli ultimi decenni a riconoscere e studiare le determinanti del comportamento pro-sociale, diverso da quello guidato da interesse monetario puro e dagli incentivi di prezzo.
Le motivazioni pro-sociali, quali l'altruismo, i codici morali di comportamento e di responsabilità civica, sono riconosciute come le forze trainanti per potenziare il contributo su base volontaria per beni collettivi. Allo stesso tempo, la motivazione reputazionale può sostituirsi agli incentivi monetari con forme sociali di compensazione e ugualmente generare dinamiche virtuose nel comportamento pro-sociale.
È necessario infine notare che, se la donazione esprime un valore individuale, guidato da regole di etica e di morale, essa rappresenta allo stesso tempo un fenomeno sociale influenzato dalla cultura locale e da altri fattori istituzionali. Ciò significa che ogni teoria sulle donazioni individuali deve contenere e tenere conto delle condizioni e dei condizionamenti locali. In questo senso, l'esplorazione del caso italiano è un contributo sia alla teoria generale, che all’analisi dell'influenza dei contesti locali.
Le donazioni in favore del patrimonio culturale sembrano soffrire di due inconvenienti. Il primo riguarda la scarsa capacità del patrimonio culturale di attrarre donazioni rispetto ad altri settori. Il secondo è un’enfasi mal posta della politica culturale, per cui l'introduzione di incentivi fiscali sembra essere il solo meccanismo preferito dai decisori politici in cerca di risorse economiche private. Tra i diversi settori oggetto di donazione, il sostegno privato alle arti, alla cultura e alle organizzazioni del patrimonio culturale occupano posizioni basse nella classifica per quantità di donazioni. Secondo alcune stime, a livello internazionale circa il 10% dei flussi di filantropia privata va alla cultura. Negli Stati Uniti, nel 2007 su un totale di 307 miliardi di dollari, solo il 4,8% è stato donato alle organizzazioni di arte, cultura e scienze umane. Parimenti, in Italia su 5,5 miliardi di euro di beneficenza stimati nel 2007, le organizzazioni per le arti e la cultura sono state destinatarie di una quota molta bassa di donazioni. Per esempio, recenti indagini sul comportamento dei donatori in Italia, rivela che la quota di donazioni alle arti, alla cultura e alle istituzioni culturali è compresa fra l’1% e il 3,2%. Donare per la cultura sembra quindi una scelta residuale, venendo dopo altri settori come le organizzazioni religiose, la salute, l’istruzione e servizi sociali. Nel mercato competitivo della beneficenza i donatori potenziali sembrano essere indirizzati maggiormente verso i settori che riguardano la realizzazione di bisogni personali fondamentali, piuttosto che alla produzione di beni collettivi come le arti e la conservazione dei beni culturali. In questo senso, i donatori possono essere motivati più facilmente da un'esperienza diretta di malattia o sentire un forte senso personale di appartenenza ai valori religiosi. Inoltre, si può dire che ci sia una enfasi mal riposta sugli incentivi fiscali, che sembrano non intercettare l'insieme delle priorità dei potenziali donatori e costituire un monotono obiettivo delle politiche culturali. Tuttavia non vi è certezza sul livello delle agevolazioni fiscali che inducano consistenti donazioni private alla cultura. In altre parole schemi di incentivi fiscali troppo bassi potrebbero rivelarsi inefficaci nel favorire la propensione a donare delle persone. Sia la scelta residuale dei donatori, che l’enfasi mal riposta nelle politiche fiscali in favore delle donazioni impongono una nuova valutazione delle motivazioni individuali e degli incentivi istituzionali che guidano il comportamento dei donatori. Come noto, in Italia ci sono più di 3500 musei potenziale oggetto di donazioni, i più importanti dei quali sono pubblici, gestiti in modo centralizzato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e con una modesta autonomia finanziaria. I fondi pubblici, sia a livello locale che statale, sono cronicamente limitati e, purtroppo, l’attività di raccolta fondi dei donatori privati non è pienamente sviluppata. Unica eccezione è lo sgravio fiscale al 19% per il contributo privato finalizzato all'acquisizione, la conservazione e il restauro di opere d'arte e di edifici o per l'organizzazione di mostre d'arte. Questo regime fiscale sembra non attirare molti cittadini. Il totale dei fondi raccolti nel 2008 attraverso donazioni di enti non commerciali e persone fisiche rappresentavano quasi 30 milioni di euro e le donazioni individuali non raggiungevano lo 0,5% dell’ammontare complessivo. Allo stesso tempo, i contributi spontanei dei visitatori all'ingresso dei musei non sono un’ opzione diffusa in Italia. In sostanza in Italia, data la rilevante assenza di donatori per il patrimonio culturale e la mancata introduzione di meccanismi che ne favoriscano la contribuzione, è interessante esplorare strategie che possano essere attuate a partire dalle esigenze dei potenziali donatori e delle loro motivazioni. Il comportamento umano risponde a motivazioni sia intrinseche, nascenti dentro di noi, sia estrinseche, provenienti dall’ambiente esterno. Le prime contano perché agendo in maniera corrispondente ai nostri codici etici, beneficiamo di una soddisfazione morale o sociale. Le seconde sono più legate a ricompense naturali, sociali o monetarie. Per fare qualche esempio: quando siamo in affari siamo guidati dal profitto; quando doniamo il sangue siamo normalmente guidati da motivazioni sociali; nelle relazioni umane conta molto il rispetto reciproco; in guerra agiamo sotto il vincolo della forza e del terrore. In molti altri campi il comportamento è più complesso. Il mondo della cultura è uno di questi. In un famoso saggio, ormai del 1974, Richard Titmuss dimostrò che un contesto di ricompense di tipo economico tende a nascondere l’attitudine pro-sociale della gente. Egli indagò il mondo dell’offerta di sangue e confrontò il sistema delle donazioni private, come quelle all’AVIS, per intenderci, con il sistema di mercato, dove il sangue si compera. Dimostrò che in quest’ultimo caso il pagamento di un prezzo genera una offerta minore rispetto alla domanda sociale e di minor qualità. Nel motivare il comportamento di un donatore per la cultura, ossia il contributo dei privati per un fenomeno essenzialmente collettivo, si possono distinguere con più precisione, almeno quattro classi di incentivi: quelli pro-sociali, quelli reputazionali, quelli di trasparenza nella destinazione del contributo e quelli fiscali. In generale, le motivazioni intrinseche sono fortemente attive nel settore dei servizi sociali (sanità, istruzione, aiuto internazionale, sviluppo delle comunità locali). Nel campo della cultura si è spesso sottolineato la debolezza operativa di un sistema di incentivi fiscali, ma non si è mai analizzato a fondo il ruolo della cultura civica, che nei secoli è stata la sola e principale fonte delle donazioni per la cultura. Anzi, in molte occasioni il contributo dei privati per la cultura è stato associato tout court alla politica degli sgravi fiscali. Di fatto le ragioni reputazionali e quelle pro-sociali sono sottovalutate, né sono note specifiche politiche pubbliche per rafforzare le altre diverse motivazioni. Questo lascia lo Stato “nudo”, perché di fronte alla pluriennale crisi fiscale e al conseguente deficit di bilancio ogni proposta di sgravio fiscale viene di fatto bocciata dal Ministero delle Finanze. Questo, ad esempio, è quanto è accaduto ai suggerimenti di tipo fiscale che la Commissione Croff ha avanzato nel suo rapporto del 2007.
Al contrario, è necessario chiedersi oggi se musei e istituzioni culturali in Italia possano diventare degli attori attivi nell’attrarre donazioni da parte dei visitatori e cittadini. Per far questo, ci sembra necessario superare l’enfasi delle politiche pubbliche sugli incentivi fiscali e riflettere sulle potenzialità di altri tipi di incentivi e motivazioni. I nuovi meccanismi devono essere maggiormente legati al rapporto tra museo e donatore e al valore pro-sociale del contribuire al patrimonio culturale italiano come bene collettivo.
Negli ultimi anni l’agenda delle politiche culturali ha posto maggiore attenzione agli incentivi fiscali alle donazioni. Abbassare il prezzo del dono mediante incentivi fiscali segue una logica economica che assume una relazione negativa tra il costo di donare e l’offerta di donazioni da parte degli individui. Tuttavia, anche gli economisti hanno iniziato negli ultimi decenni a riconoscere e studiare le determinanti del comportamento pro-sociale, diverso da quello guidato da interesse monetario puro e dagli incentivi di prezzo.
Le motivazioni pro-sociali, quali l'altruismo, i codici morali di comportamento e di responsabilità civica, sono riconosciute come le forze trainanti per potenziare il contributo su base volontaria per beni collettivi. Allo stesso tempo, la motivazione reputazionale può sostituirsi agli incentivi monetari con forme sociali di compensazione e ugualmente generare dinamiche virtuose nel comportamento pro-sociale.
È necessario infine notare che, se la donazione esprime un valore individuale, guidato da regole di etica e di morale, essa rappresenta allo stesso tempo un fenomeno sociale influenzato dalla cultura locale e da altri fattori istituzionali. Ciò significa che ogni teoria sulle donazioni individuali deve contenere e tenere conto delle condizioni e dei condizionamenti locali. In questo senso, l'esplorazione del caso italiano è un contributo sia alla teoria generale, che all’analisi dell'influenza dei contesti locali.
Le donazioni in favore del patrimonio culturale sembrano soffrire di due inconvenienti. Il primo riguarda la scarsa capacità del patrimonio culturale di attrarre donazioni rispetto ad altri settori. Il secondo è un’enfasi mal posta della politica culturale, per cui l'introduzione di incentivi fiscali sembra essere il solo meccanismo preferito dai decisori politici in cerca di risorse economiche private. Tra i diversi settori oggetto di donazione, il sostegno privato alle arti, alla cultura e alle organizzazioni del patrimonio culturale occupano posizioni basse nella classifica per quantità di donazioni. Secondo alcune stime, a livello internazionale circa il 10% dei flussi di filantropia privata va alla cultura. Negli Stati Uniti, nel 2007 su un totale di 307 miliardi di dollari, solo il 4,8% è stato donato alle organizzazioni di arte, cultura e scienze umane. Parimenti, in Italia su 5,5 miliardi di euro di beneficenza stimati nel 2007, le organizzazioni per le arti e la cultura sono state destinatarie di una quota molta bassa di donazioni. Per esempio, recenti indagini sul comportamento dei donatori in Italia, rivela che la quota di donazioni alle arti, alla cultura e alle istituzioni culturali è compresa fra l’1% e il 3,2%. Donare per la cultura sembra quindi una scelta residuale, venendo dopo altri settori come le organizzazioni religiose, la salute, l’istruzione e servizi sociali. Nel mercato competitivo della beneficenza i donatori potenziali sembrano essere indirizzati maggiormente verso i settori che riguardano la realizzazione di bisogni personali fondamentali, piuttosto che alla produzione di beni collettivi come le arti e la conservazione dei beni culturali. In questo senso, i donatori possono essere motivati più facilmente da un'esperienza diretta di malattia o sentire un forte senso personale di appartenenza ai valori religiosi. Inoltre, si può dire che ci sia una enfasi mal riposta sugli incentivi fiscali, che sembrano non intercettare l'insieme delle priorità dei potenziali donatori e costituire un monotono obiettivo delle politiche culturali. Tuttavia non vi è certezza sul livello delle agevolazioni fiscali che inducano consistenti donazioni private alla cultura. In altre parole schemi di incentivi fiscali troppo bassi potrebbero rivelarsi inefficaci nel favorire la propensione a donare delle persone. Sia la scelta residuale dei donatori, che l’enfasi mal riposta nelle politiche fiscali in favore delle donazioni impongono una nuova valutazione delle motivazioni individuali e degli incentivi istituzionali che guidano il comportamento dei donatori. Come noto, in Italia ci sono più di 3500 musei potenziale oggetto di donazioni, i più importanti dei quali sono pubblici, gestiti in modo centralizzato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e con una modesta autonomia finanziaria. I fondi pubblici, sia a livello locale che statale, sono cronicamente limitati e, purtroppo, l’attività di raccolta fondi dei donatori privati non è pienamente sviluppata. Unica eccezione è lo sgravio fiscale al 19% per il contributo privato finalizzato all'acquisizione, la conservazione e il restauro di opere d'arte e di edifici o per l'organizzazione di mostre d'arte. Questo regime fiscale sembra non attirare molti cittadini. Il totale dei fondi raccolti nel 2008 attraverso donazioni di enti non commerciali e persone fisiche rappresentavano quasi 30 milioni di euro e le donazioni individuali non raggiungevano lo 0,5% dell’ammontare complessivo. Allo stesso tempo, i contributi spontanei dei visitatori all'ingresso dei musei non sono un’ opzione diffusa in Italia. In sostanza in Italia, data la rilevante assenza di donatori per il patrimonio culturale e la mancata introduzione di meccanismi che ne favoriscano la contribuzione, è interessante esplorare strategie che possano essere attuate a partire dalle esigenze dei potenziali donatori e delle loro motivazioni. Il comportamento umano risponde a motivazioni sia intrinseche, nascenti dentro di noi, sia estrinseche, provenienti dall’ambiente esterno. Le prime contano perché agendo in maniera corrispondente ai nostri codici etici, beneficiamo di una soddisfazione morale o sociale. Le seconde sono più legate a ricompense naturali, sociali o monetarie. Per fare qualche esempio: quando siamo in affari siamo guidati dal profitto; quando doniamo il sangue siamo normalmente guidati da motivazioni sociali; nelle relazioni umane conta molto il rispetto reciproco; in guerra agiamo sotto il vincolo della forza e del terrore. In molti altri campi il comportamento è più complesso. Il mondo della cultura è uno di questi. In un famoso saggio, ormai del 1974, Richard Titmuss dimostrò che un contesto di ricompense di tipo economico tende a nascondere l’attitudine pro-sociale della gente. Egli indagò il mondo dell’offerta di sangue e confrontò il sistema delle donazioni private, come quelle all’AVIS, per intenderci, con il sistema di mercato, dove il sangue si compera. Dimostrò che in quest’ultimo caso il pagamento di un prezzo genera una offerta minore rispetto alla domanda sociale e di minor qualità. Nel motivare il comportamento di un donatore per la cultura, ossia il contributo dei privati per un fenomeno essenzialmente collettivo, si possono distinguere con più precisione, almeno quattro classi di incentivi: quelli pro-sociali, quelli reputazionali, quelli di trasparenza nella destinazione del contributo e quelli fiscali. In generale, le motivazioni intrinseche sono fortemente attive nel settore dei servizi sociali (sanità, istruzione, aiuto internazionale, sviluppo delle comunità locali). Nel campo della cultura si è spesso sottolineato la debolezza operativa di un sistema di incentivi fiscali, ma non si è mai analizzato a fondo il ruolo della cultura civica, che nei secoli è stata la sola e principale fonte delle donazioni per la cultura. Anzi, in molte occasioni il contributo dei privati per la cultura è stato associato tout court alla politica degli sgravi fiscali. Di fatto le ragioni reputazionali e quelle pro-sociali sono sottovalutate, né sono note specifiche politiche pubbliche per rafforzare le altre diverse motivazioni. Questo lascia lo Stato “nudo”, perché di fronte alla pluriennale crisi fiscale e al conseguente deficit di bilancio ogni proposta di sgravio fiscale viene di fatto bocciata dal Ministero delle Finanze. Questo, ad esempio, è quanto è accaduto ai suggerimenti di tipo fiscale che la Commissione Croff ha avanzato nel suo rapporto del 2007.
Al contrario, è necessario chiedersi oggi se musei e istituzioni culturali in Italia possano diventare degli attori attivi nell’attrarre donazioni da parte dei visitatori e cittadini. Per far questo, ci sembra necessario superare l’enfasi delle politiche pubbliche sugli incentivi fiscali e riflettere sulle potenzialità di altri tipi di incentivi e motivazioni. I nuovi meccanismi devono essere maggiormente legati al rapporto tra museo e donatore e al valore pro-sociale del contribuire al patrimonio culturale italiano come bene collettivo.